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Salita al Pordenone - Cappella Pallavicino, Cortemaggiore

Testo di Eleonora Barabaschi

Lo spazio dipinto dal Pordenone nella Cappella Pallavicino entro la magnifica chiesa dell’Annunciata a Cortemaggiore è contenuto, raccolto, e invita alla riflessione sul tema dell’Immacolata Concezione, assai caro ai Francescani titolari della chiesa e a cui tutto il programma decorativo è dedicato. L’intervento del pittore friulano viene oggi collocato dagli studiosi negli anni 1529-1530: una sorta di magnifico preludio al maestoso apparato di immagini che l’artista metterà a punto per la Basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza, la cui commissione è immediatamente successiva.
Venuto a mancare nel 1527 Gian Ludovico II Pallavicino, signore di Cortemaggiore nonché uomo d’arme “perfetto in ogni arte militare - scelto comandante di Francesco I re di Francia” - come recitava una perduta lastra - la famiglia incarica un’artista di prim’ordine, già celebre in area padana per gli affreschi del Duomo di Cremona, di una nuova decorazione in suo onore per la cappella di famiglia, dipinta a fine Quattrocento in alcune sue parti da un valente pittore di scuola lombarda.

Salita al Pordenone
Salita al Pordenone

Sulle pareti attorno all’altare, entro finte nicchie che dilatano illusoriamente lo spazio, il Pordenone inserisce possenti figure maschili, ciascuna con un cartiglio in mano: si tratta del re Salomone e di Origene, Cirillo e Cipriano, i Padri della Chiesa orientale che hanno parlato della Vergine e della sua purezza nei loro scritti. Sulla parete a destra dell’altare è raffigurato San Girolamo, forse un tributo al possibile committente diretto dei dipinti che potrebbe essere, appunto, Girolamo Pallavicino, nipote di Gian Ludovico II e suo successore alla guida del piccolo stato.
Il nome del committente è ancor oggi oggetto di dibattito, poiché c’è chi propende invece per Virginia, unica figlia di Gian Ludovico II menzionata nella epigrafe perduta di cui si è detto.
Quel che appare certo è il riferimento alle qualità militari del defunto, nel reiterato utilizzo di riferimenti guerreschi nelle misteriose lesene laterali che, schiudendo per l’osservatore la soglia del Santuario, accolgono un complesso intricarsi di putti, figure umane e ibride, animali e oggetti vari ben lungi dall’esser stato decifrato in via definitiva. Una lettura affascinante quanto intricata delle due fasce dipinte vorrebbe il formarsi delle parole “Pallados Gens” (Stirpe di Pallade) con l’acrostico dei nomi latini di alcune delle figure: secondo una tradizione letteraria cinquecentesca, i Pallavicino sono appunto discendenti diretti della dea della Sapienza, Pallade Atena.
Dalla fascia al di sopra della cornice che corre lungo il breve perimetro dell’abside poligonale si affacciano Profeti, Sibille e, al centro, proprio al disopra della pala d’altare, San Giovanni Battista, in un affascinante e significativo susseguirsi di gesti e sguardi che richiamano l’attenzione del fedele chi al mistero oggetto della Disputa nel dipinto sull’altare, chi verso l’alto dei cieli, da cui il meraviglioso Dio Padre squarcia un azzurro di infinita intensità attorniato da putti.

Salita al Pordenone

Non può il Pordenone non aver ben presenti i grandi nudi michelangioleschi, il Creatore della Cappella Sistina e la classicità delle raffaellesche Stanze, né i motivi decorativi a grottesca così in voga nella Roma di primo Cinquecento, che ritroviamo qui sfavillanti nell’oro a sovrastare le lunette dei veggenti. Né probabilmente è ignaro delle turbinose cupole parmensi nelle quali il Correggio preclude gli esiti della pittura barocca.
Sull’altare vi è oggi una pregevole copia carraccesca di un dipinto del De’ Sacchis, coevo agli affreschi e dalla complessa iconografia: si tratta della Disputa sull’Immacolata Concezione. Protagonista è la figura di Sant’Anna al centro, che ha suscitato non pochi problemi interpretativi dovuti soprattutto all’importanza centrale conferita in tal modo alla madre della Vergine, un’importanza che si presupporrebbe possa avere soltanto la figura di Maria stessa. I dubbi sono sciolti dalla figuretta di infante in alto a destra, vestita di una tunichetta bianca, che sorretta da deliziosi angioletti pare in procinto di “tuffarsi” verso la Santa dagli occhi rivolti al cielo: non può trattarsi che della Vergine, di cui in tal modo viene ribadita la purezza sia nel concepimento di Cristo sia nel suo stesso concepimento, che ha luogo al di fuori dal ventre, gravido eppure immacolato a sua volta, della madre.
La Vergine dunque, e non il Cristo bambino, che invece nelle scene di questo tipo è solitamente raffigurato ignudo e recante una croce; il riferimento a Maria è rafforzato da una particolare iconografia della Dormitio virginis in cui talvolta compare l’animula della Vergine che lascia il corpo e ascende al cielo per unirsi a Dio Padre, con un moto di direzione opposta a quello della pala di Cortemaggiore.
Attorno a Sant’Anna, i Padri della Chiesa latina: a sinistra, di nuovo San Gerolamo; a destra un Sant’Ambrogio che si volge verso chi entra e presenta, oltre ai colori dei Pallavicino nel ricamo del postergale del piviale, singolare affinità con un ritratto scultoreo di Gian Ludovico I Pallavicino, nonno di Gian Ludovico II, ad opera di Guido Mazzoni nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Busseto. In alto vi sono a destra Sant’Agostino, predecessore del magnifico affresco in Santa Maria di Campagna, e a sinistra San Gregorio Magno. Quest’ultimo reca sulle vesti un’Annunciazione ricamata, indubbio riferimento a Colei che si celebra nella Cappella e nella chiesa stessa, e di nuovo i colori del casato che presiede la cappella.

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Tra le fonti di cui Pordenone potrebbe essersi servito per tale complessa materia teologica si sono individuati due testi liturgici per la festività dell’Immacolata, redatti da Leonardo Nogarolo e Bernardino de Bustis, approvati da Papa Sisto IV tra 1477 e 1480 e ben noti nell’ambito francescano in cui i dipinti di Cortemaggiore hanno visto la luce.
L’originale pala d’altare si trova oggi alle Gallerie di Capodimonte a Napoli, ivi trasferita con le raccolte farnesiane negli anni Trenta del Settecento per volere di Carlo di Borbone; aveva già lasciato la cappella alla volta di Roma sul finire del Cinquecento, donata probabilmente da Isabella Pallavicino ai Farnese - in questa occasione si commissiona la copia di altissimo livello, attribuita ad uno dei Carracci - e collocata dal Cardinale Odoardo nel suo palazzo con grande rilievo, accanto ad una Allegoria della Giustizia di Giorgio Vasari.

Salita al Pordenone

Ritroviamo il Pordenone appena fuori il Santuario, nelle due lunette raffiguranti la Resurrezione e l’Ascensione di Cristo, che un tempo sovrastavano i sepolcri Pallavicino poi traslati nella Basilica di Santa Maria delle Grazie nel 1812. I due affreschi presentano non poche analogie con le scene della Passione dipinte nella Cattedrale di Cremona (1520-1522), analogie che si fanno ancor più strette nella grande, splendida tempera su tela raffigurante la Deposizione, un tempo stendardo processionale e oggi collocata nella parete a sinistra dell’altar maggiore.
Pervasa da un immoto e lacerante silenzio, la tela fu definita da Adolfo Venturi nel 1928 l’opera “più contenuta e profonda” del grande maestro friulano.

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